Fallacia logica del casco da moto

Una misura di tutela del singolo (che lo protegge dalle conseguenze) non puoi spacciarla per qualcosa di utile agli altri;
se lo fai forse hai un altro scopo;
se lo imponi sicuro ti interessa altro

Spessissimo dagli schermi della TiVu, ma anche da quelli degli smartphone attraverso i seguitissimi profili social dei vari influencer “pandemisti”, ascoltiamo esempi che fanno presa sulle persone per indurle a dar credito ad una affermazione (ovviamente in questo periodo di fine estate 2021, in Italia, si sta spingendo sulla vaxxinazione tramite strumenti di vessazione e di ricatto mai visti in precedenza, nemmeno in regimi totalitari del secolo scorso).

Il più delle volte, però, questi esempi non hanno alcuna attinenza con il concetto che vogliono avallare, tranne l’accostamento semantico (come dire sono bello perche il gelato è dolce: sono due concetti che si rafforzano solo grazie ad un “perché” messo tra le due affermazioni, ma non c’è alcuna attinenza tra le due cose)

Abbiamo sentito paragoni assurdi per legittimare le “vaniccia-zoini”, dalla patente, al semaforo, alla cintura di sicurezza, al casco da moto …

Alcune di queste meritano una vignetta celebrativa


Oggi tocca a:
il Casco della moto protegge certamente i motociclisti, senza danneggiarli; non indossarlo è una misura che mette a repentaglio la sicurezza dell’individuo ed è giusto obbligare i motociclisti a tutelarsi anche per non incorrere in traumi prevenibili che graverebbero sulla sanità“.
Questa cosa viene usata per dimostrare la validità dell’imposizione delle vassinassioni contro il pandemonio: lo stato deve tutelare tutti e quindi ti impongo di non fare del male a te ed agli altri

Questo paragone avrebbe senso se avessimo qualcosa di estremamente pericoloso (come un trauma cranico da caduta in moto e per analogia una malattia letale come il Vaiolo, la Poliomelite, la MERS, al limite la SARS1), prevenibile con certezza da un presidio che non interferisce con l’organismo (o lo fa in modo irrisorio rispetto al danno da cui tutela), appunto come un casco omologato (non basta un cocomero in testa infatti)

L’esempio ha un suo senso, anche rapportato a questioni di sanità pubblica, quando abbiamo a che fare con malattie gravissime non arginabili diversamente; diventa ridicolo se abbinato a qualcosa di scarsamente pericoloso per le persone “sane” e “giovani”, (come il coviddi che secondo i dati dell’OMS è paragonabile all’influenza) da proteggere con qualcosa che tutela solo l’individuo e non gli altri (come il casco appunto, infatti che siamo di fronte a prodotti contro la malattia e non contro l’infezione) quando sarebbe al limite ragionevole usarlo su anziani e persone di salute gia compromessa che (come i motociclisti) rischiano dal contrarre questa malattia (comunque , e per fortuna, in una % contenuta di casi).
L’incidenza delle reazioni avverse ai trattamenti sanitari di cui si parla sballa del tutto l’esempio, in quanto nessun casco da moto danneggia il motociclista.

Dunque:
il Casco da moto ha una fallacia logica doppia:
1- non protegge la comunità, al massimo l’incidenza sulla sanità pubblica, come qualunque farmaco del resto; ma allora con la stessa ratio anche l’uso di un antibiotico potrebbe diventare obbligatorio, o un intervento chirurgico o uno screening: insomma il libero arbitrio di scegliere come gestire il proprio corpo verrebbe a cadere.
2- non interferisce con l’individuo, al massimo genera fastidio temporaneo e reversibile, ovvero si può levarlo o usarlo solo in caso di necessità, cosa non sostenibile con i farmaci ed in particolare con le vassinassioni.

In entrambi i casi non possiamo accostarlo all’anti-coviddix, perché:
1- i trattamenti attuali tutelano (per progetto) l’individuo dalla malattia (il resto sono speculazioni di marketing) e non la sua diffusione (non proteggono dall’infezione)
2- i trattamenti sono irreversibili e gli effetti sull’individuo sono NON trascurabili (ognuno dovrebbe poter scegliere, riguardando solo se stesso, se rischiare o meno una reazione)

Non si nega la validità della “vazzinazione” come strumento di prevenzione in se, ma il fatto che, nel caso specifico del coviddi, si voglia imporre una misura di protezione dell’individuo dalle conseguenze gravi, sfruttando il ricatto morale che serve a tutelare gli altri (cosa che sarebbe vera se proteggesse dal contagio, e le evidenze dimostrano che non è così) con l’aggravante di volerla imporre non solo a chi ne ha bisogno (persone a rischio di complicanze gravi) ma anche chi non ha nulla da temere (e forse rischia più nel prevenire che nel curare)

Quando si vuole impone un trattamento che protegge individualmente con la scusa di proteggere gli altri probabilmente lo scopo non è la tutela della salute:

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